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Storytelling, empatia e interpretazione del mondo che ci circonda

Tutti amiamo le storie. Ci piace leggerle, ascoltarle e raccontale. Il “moderno” termine storytelling, che sembra ormai dominare ogni ambito della nostra vita, altro non è che la “narrazione”, un concetto intimamente connesso con la storia dell’uomo. Fa parte di noi perchè, come racconta anche Andrea Fontana nel suo libro “Storyselling”, la nostra mente “funziona” per storie ed è creando storie che archivia i ricordi.

L’importanza della narrazione e le sue implicazioni nella nostra vita è l’argomento di un episodio del podcast “The Forum”, realizzato da BBC, dal titoloThe Pleasures and Perils of Storytelling (“Le gioie e i pericoli della narrazione”), condotto dalla giornalista Bridget Kendall.

L’episodio prende spunto da alcuni interrogativi: che effetto ha la narrazione sulla nostra mente? Aumenta la nostra percezione sul mondo che ci circonda? O, in alcuni casi, ci impedisce di vedere le cose per ciò che realmente sono? A tentare di rispondere a queste e altre domande sono gli ospiti della puntata: lo psicologo della York University di Toronto Raymond Mar, la consulente aziendale Thaler Pekar e lo scrittore scientifico Philip Ball.

Dalla discussione sullo storytelling, nel corso del podcast, sono scaturiti diversi spunti interessanti.

Narrazione ed empatia

Lo psicologo Raymond Mar ha condotto una serie di ricerche da cui è emerso che coloro che leggono narrativa tendono a possedere più spiccate capacità sociali: sono più empatici e riescono comprendere meglio il mondo che li circonda. Pare, inoltre, che, durante la lettura, vengano coinvolte le stesse aree del cervello che utilizziamo quando cerchiamo di capire gli altri nella vita reale.

Gli adulti che, nel corso della loro vita, hanno letto di più, hanno anche sviluppato una maggiore abilità nel capire ciò che provano le altre persone: le loro emozioni, i loro pensieri e le motivazioni che si nascondono dietro ai loro comportamenti. E queste capacità si notano già dall’infanzia: i bambini di 4-6 anni che vengono avvicinati alla narrativa, infatti, mostrano una maggiore comprensione dei pensieri e delle scelte degli altri. Sono già in grado di capire, inoltre, se ciò che stanno leggendo si riferisce a qualcosa di profondo relativo a ciò che li circonda.

Narrazione e visione del mondo

Da dove viene questo legame fra storie ed empatia? Il punto di partenza è dato, senza dubbio, da coloro che la narrativa la producono, ovvero gli scrittori. Le storie, infatti, sono scritte da persone naturalmente empatiche e profondamente interessate ai comportamenti e alla psicologia umana e sono costantemente intenti ad analizzare il mondo e le relazioni che lo caratterizzano; a comprendere la mente delle persone cercando di mettersi nei loro panni. Osservano e analizzano, quindi, esperienze ed emozioni, cercando poi di mostrarle e descriverle nelle storie che raccontano.

Non è ancora chiaro se ci siano storie in grado, più di altre, di aumentare il livello di empatia: se quelle più complesse, come le opere dei grandi autori del passato, o quelle più “semplici”, come i romanzi d’amore. Ma ci si può aspettare che, in generale, siano comunque le storie con trame principalmente incentrate sulle relazioni e le emozioni umane a generare una maggiore empatia nella vita reale.

Le storie ci aiutano a capire meglio le nostre emozioni

Le storie, come detto, ci forniscono preziose informazioni utili allo sviluppo dell’empatia. Lo storytelling è un mix di eventi e sentimenti: grazie alla narrativa partecipiamo alle vicende dei personaggi delle storie che leggiamo, vivendo insieme a loro la gamma di emozioni che provano. Lo facciamo, però, da una certa distanza, perché non siamo coinvolti direttamente in quelle situazioni, e questo ci permette di analizzare le emozioni descritte in modo più razionale, di elaborarle e dare loro un senso. Nel mondo reale questo non accade, perché diverso è il punto di vista: quando viviamo le emozioni in prima persona ne siamo sopraffatti, e questo ci impedisce di analizzarle e comprenderle fino in fondo.

Le storie, ovviamente, sono una versione semplificata della realtà, non ne rappresentano tutte le sfaccettature. Per questo, per capire una storia, siamo noi lettori a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla narrazione, con le nostre emozioni personali, i nostri ricordi e le nostre esperienze, diventando noi stessi narratori. La lettura, quindi, crea una forte interazione fra il testo e il suo fruitore; è anche per questo che ci sentiamo così coinvolti dalle storie che leggiamo.

Saper raccontare, saper ascoltare

Lo storytelling ha invaso anche il mondo del business, a tutti i livelli: raccontare per attirare l’attenzione; raccontare per vendere.

Come spiega la consulente aziendale Thaler Pekar, ai leader e alle organizzazioni viene suggerito non solo di raccontare storie, ma anche di saperle ascoltare.

Che si tratti di un’azienda o di un prodotto, non è importante solo raccontare la propria storia, ma occorre, poi, essere pronti ad ascoltare le storie generate da ciò che è stato raccontato. La comunicazione aziendale non è più unidirezionale, non serve più solo per arrivare ai clienti: serve anche ad instaurare un dialogo con loro.

La narrazione è utile, quindi, anche per conoscere il cliente che si ha di fronte ed è per questo che è importante saper porre le domande giuste. Un quesito che presupponga un semplice “sì” o “no”, ad esempio, tende a riunire in categorie chi ha fornito una risposta anziché un’altra, senza però sapere quali siano le reali motivazioni che stanno dietro ad una risposta; motivazioni che potrebbero anche essere molto diverse fra loro. Chiedere a ciascuno di raccontare la propria storia, invece, fornisce informazioni molto più utili, che possono anche portare a trovare nuovi spunti e sviluppare nuove idee.

Storytelling, empatia e interpretazione del mondo che ci circonda

Non sempre la narrativa aiuta

Non sempre, però, vedere in chiave narrativa ciò che ci circonda è un bene. Ci sono alcuni processi naturali e sociali che non possono essere spiegati adeguatamente con lo storytelling, anche se spesso tendiamo ugualmente a farlo (come avviene, ad esempio, nell’analisi dei dati economici o nel campo della genetica). Più l’ambito di osservazione è complesso, più lo storytelling può fornire informazioni errate o incomplete, perché porta a ricercare risposte semplici e, spesso, inadeguate.

Come spiega lo scrittore scientifico Philip Ball, i dati complessi non possono essere rappresentati con analisi semplici: per questo, in questi casi, abbiamo bisogno di abbandonare lo storytelling e cercare un nuovo approccio e un modo completamente diverso di pensare.

Sessanta secondi per cambiare il mondo

Il podcast “The Forum” ha un piccolo spazio chiamato “Sixty Second Idea to Change the World” (un’idea in 60 secondi per cambiare il mondo), nel quale viene chiesta a un ospite un’idea di facile applicazione per apportare un miglioramento nella vita di tutti i giorni.

In questo episodio è stato chiesto allo psicologo Raymond Mar di trovare una soluzione al fatto che, sebbene le storie  ci piacciano e abbiano un effetto positivo sulla nostra mente e la nostre abilità empatiche, non sempre si ha voglia di ascoltare i racconti di altre persone, soprattutto se si tratta di estranei particolarmente desiderosi di parlare (come può accadere, ad esempio, in treno o sull’autobus).

L’interessante (e divertente) suggerimento di Raymond Mar è quello di istituire l’uso di apposite spille di colori diversi, da indossare per comunicare al mondo il proprio grado di propensione all’interazione con altri:

  • Spilla gialla: “se ti servono indicazioni, chiedi pure”
  • Spilla rossa: “non infastidirmi”
  • Spilla verde: “chiacchieriamo!”

Un modo, anche questo, di raccontare qualcosa…

La conduttrice Bridget Kendall suggerisce di inserire un altro colore (che, personalmente, indosserei praticamente ogni giorno dell’anno, ndr): una spilla porpora, che fa sapere: “al momento non mi sento particolarmente in vena di socializzare, ma se hai una storia davvero interessante, allora parliamone!”. 😉


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